domenica 17 settembre 2017

LA PROCESSIONE DEL VENERDI' SANTO


La processione faceva il giro delle strade più grandi di Telese ed era come se tutti stessero recitando un unico copione. Il religioso silenzio era rotto solo dal rumore dei passi sull’asfalto, dai canti religiosi e dalle litanie ripetute in un latino affettuosamente casereccio. 

Processione a Telese - Anni '50 - cliccare per ingrandire
 Aldo Maturo


La processione del Venerdi Santo era uno degli eventi religiosi più partecipati dell’anno e veniva programmata fin dagli ultimi giorni della quaresima. Don Mario Goglia riuniva nel salone parrocchiale noi ragazzi dell’Azione Cattolica, suddivisi per aspiranti, juniores e seniores,   e annunciava il programma anticipandoci cosa avremmo dovuto fare durante i vari riti della settimana santa e, soprattutto, durante la processione. 

Qualche settimana prima di Pasqua, però, in molte case già si preparava il germoglio di grano che sarebbe stato portato in Chiesa per adornare i Sepolcri. I preziosi chicchi di grano venivano seminati in un vaso che si riponeva per un mesetto in cantina o in ripostiglio, dove sarebbero cresciuti e germogliati al buio. Il mercoledì santo lo si andava a riprendere e si ammirava ogni volta il miracolo della natura. I chicchi erano germogliati ma, per l’assenza della sintesi clorofilliana dovuta alla mancanza di luce, erano diventati fili dorati e rigogliosamente fitti. Erano cresciuti al buio - simbolo delle tenebre – e ritornavano alla luce del sole, simbolo della resurrezione.

Lo stesso giorno, al calar della sera, il vaso infiocchettato veniva portato in chiesa, dove il sacrestano aveva ricoperto le statue con un drappo viola. Nel silenzio della navata illuminata dalle candele fumanti, si poggiava il dono oltre la balaustra. La misticità del luogo, la penombra e tutte quelle ciotole degradanti sui gradini dell’altare centrale rallegravano l’animo e con la loro esplosione di colori anticipavano l’imminente primavera.
Il venerdì, all’ora stabilita per la processione pomeridiana, la chiesa era già gremita di fedeli,  con le autorità rigorosamente in prima fila. Partito dal sagrato, il corteo cominciava a snodarsi lungo via Roma sotto gli occhi attenti degli unici tre vigili del paese, coordinati  dal brigadiere Ciccio Giaquinto, allora il più alto in grado. Gli altri due, Ciccio Merrone e Mario Grillo, si mettevano uno in testa e uno in coda al corteo. Quello davanti faceva accostare le macchine per dare spazio alla processione,  quello in coda evitava che qualche automobilista impaziente potesse azzardare un incauto sorpasso. 

La processione era aperta da una lunga fila di ragazzi e  ragazze che camminavano uno dietro l’altro su due file parallele. Dietro di loro, nello stesso ordine, camminavano le suore, le pie  donne e gli uomini dell’azione cattolica fino ad arrivare al cuore della processione, dove i fedeli più robusti portavano a spalle il sarcofago col Cristo Morto, seguìto, a qualche metro di distanza, dalla statua della Madonna Addolorata. Era un onore caricarsi di quel peso ed infatti i fortunati si davano spesso il cambio. Don Mario Goglia, con i paramenti viola, seguiva il Cristo con lo sguardo triste ed assorto. Era lui che conduceva le preghiere del Rosario e le alternava a canti religiosi. “Mira il tuo popolo” era uno dei più noti e dei più ripetuti. Al suo fianco, quasi scorta d’onore, il sindaco Gerardo Romano e il Maresciallo dei Carabinieri. Di seguito gli altri notabili, che approfittavano della passerella, e la massa dei fedeli che si diradava poco a poco fino alle macchine di coda.  Sgassavano impazienti,  ansiose di potersi rimpossessare della strada.
La processione sfilava davanti alle case abbellite per l’occasione  con un tripudio di colori e di fiori. Le finestre e i balconi si adornavano con le coperte più belle del corredo di famiglia. Il massimo della visibilità e del prestigio, per una casa, era ricevere la visita del Cristo Morto e della Madonna Addolorata. Per l’occasione, il prescelto preparava davanti all’uscio di casa un altarino arricchito con drappi e infiorate. I portatori deviavano il percorso e vi poggiavano prima l’una poi l’altra statua. Il tempo di  un’Ave Maria, di una fugace benedizione con l’incensiere fumante e si ripartiva.
Telese - Anni '60
Si faceva  il giro delle strade più grandi del paese ed era come se tutti stessero recitando un unico copione. Il religioso silenzio era rotto solo dal rumore dei passi sull’asfalto, dai canti religiosi e dalle litanie ripetute in un latino affettuosamente casereccio.
Al passaggio del corteo ci si fermava tutti. Molti negozi abbassavano a metà la serranda e nei bar si interrompevano i giochi e le attività per affacciarsi incuriositi all’ingresso. Qualcuno si toglieva il cappello e accennava timidamente un  segno di croce.
Tutto diventava ancora più emozionante quando si faceva buio. Quelli delle prime file, che avevano portato il cero infilato in un lungo bastone protetto da una veletta antivento, finalmente potevano accenderlo. Le fiammelle tremolanti rendevano più suggestivo il corteo e, nelle prime ombre della sera, rimarcavano anche l’ondeggiare dei fedeli. I più giovani non pensavano più alla processione ma quasi scommettevano su chi riusciva a rientrare in Chiesa senza aver fatto spegnere il proprio cero.
 Si tornava a casa stanchi ma felici. La strada era ormai un alternarsi di penombra e di chiazze di luce giallina. Le lampadine col piatto, penzolanti di traverso la strada, segnavano con il loro chiarore l'asfalto, rischiarandolo con un alone più luminoso.
 A casa si raccontava la cronaca della giornata a chi non era potuto andare. Nel cuore restava il segno di quella Madonna che, dondolando insieme ai portatori, aveva seguito il Figlio morto, portando di casa in casa il suo messaggio di dolore e di amore.