domenica 21 maggio 2017

I REATI NELLE STANZE DEI BOTTONI


Il cittadino pretende sempre più che i rappresentanti della cosa pubblica  vivano la loro funzione come servizio e non come privilegio di una casta.  

 Aldo Maturo, per


 Chi è al di là della scrivania o chi ricopre cariche elettive è  sempre più sottoposto al vaglio del cittadino che giustamente non gli riconosce più alcuna supremazia speciale. D’altra parte una magistratura sempre più attenta, e meno arroccata nelle sale d’ermellino, ha contribuito a smitizzare la stanza dei bottoni, luogo simbolo del potere ma con le pareti sempre meno blindate.
  Lo Stato e il cittadino
 
Riappropriatosi dei propri diritti, il cittadino pretende sempre più che i rappresentanti della cosa pubblica – dal parlamentare all’usciere – vivano la loro funzione come servizio e non come privilegio di una casta. 
Questo processo, partito lentamente dagli anni ’80, ci ha fatto assistere al passaggio epocale di uno Stato  che  ha perso sempre più le sue caratteristiche autoritative per passare  ad una fase di trasparenza più vicina al cittadino. Prima i diritti naufragavano nel mare misterioso di leggi fatte da uno Stato-padrone  pronto a riaffermare la sua incondizionata supremazia. Ora, grazie  a norme innovative (es. leggi Bassanini, la legge 241/90, l’autocertificazione, etc.), il cittadino è sempre più protagonista e può rimettere in discussione anche la consolidata posizione di chi lo rappresenta o amministra.  

Gli italiani hanno imparato a conoscere non solo l’esistenza dei loro diritti ma sono diventati consapevoli che chi rappresenta la pubblica amministrazione, nelle sue varie articolazioni, può incorrere nelle sanzioni previste per i delitti contro la P.A.(Pubblica Amministrazione), intendendosi per tali quei fatti, atti e comportamenti attribuibili a pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, che impediscono il regolare svolgimento dell’attività amministrativa, legislativa e giudiziaria dello Stato, delle Regioni, dei Comuni, degli Enti pubblici, etc.
I principali reati contro la P.A.
Esaminiamo i principali reati, con i limiti dettati dall’ampiezza del panorama e dalla necessità di essere brevi e chiari.
Peculato (Art.314 comma 1 c.p., reclusione da tre a dieci anni).   Con questa norma lo Stato si tutela contro la condotta disonesta di quei dipendenti che si appropriano di denaro o di beni  della P.A.,  di cui hanno il possesso o la  disponibilità per motivi di servizio. Per possesso deve intendersi la possibilità di disporre del denaro o del bene per ragioni connesse al servizio svolto. 
Appropriarsi significa utilizzare il denaro o il bene per un uso proprio, personale, diverso da quello per il quale lo Stato lo ha destinato e comunque diverso dai motivi per i quali se ne ha la disponibilità. Si ha appropriazione, quindi, quando il denaro è tenuto per sé o il bene è portato a casa, venduto, regalato. 
Il reato si perfeziona nel momento in cui avviene l’appropriazione e non è necessario che la P.A. abbia ricevuto un danno perché la consumazione del reato è di per sé stessa un danno, in quanto segno della disonestà del suo dipendente.
Es. Uso del denaro di cassa per spese proprie, sottrazione di denaro da parte di impiegati incaricati di riscuotere somme di denaro per marche da bolli, ticket, tasse, contravvenzioni, etc.
Peculato d’uso (Art. 314 comma 2 c.p. – reclusione da sei mesi a tre anni). E’ Ipotesi più lieve e si ha quando il pubblico ufficiale fa un uso temporaneo, per motivi personali, della cosa di cui abbia il possesso, pronto a restituirla all’ufficio appena terminata la sua necessità.
Es. uso per  fini personali del telefono d’ufficio, del cellulare di servizio, dell’auto di servizio, della fotocopiatrice o altri oggetti e beni della P.A. di cui si ha la disponibilità per motivi di servizio.
Abuso d’ufficio (Art.323 c.p. – reclusione da sei mesi a tre anni).     Ricorre tale ipotesi quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, in violazione di norme di legge e regolamenti, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sè o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto.
La norma serve a tutelare la P.A. ed i privati da quei comportamenti abnormi dei dipendenti  e dei rappresentanti dello Stato che, abusando del grado e delle funzioni ricoperte, eccedono dalle loro competenze, utilizzando il potere  per fini e motivi diversi da quelli per i quali gli è stato conferito. Per esserci abuso è necessario quindi aver posto in essere un atto illegittimo (ed è tale perché contrario alla legge o perché eccede dalle funzioni ricoperte) con la consapevolezza di averlo posto in essere sfruttando la propria posizione pubblica al fine di raggiungere un vantaggio per sé o per danneggiare ingiustamente altri.
Es. licenza edilizia concessa in deroga al piano urbanistico o Capo Ufficio che respinge immotivatamente la richiesta di ferie di un dipendente o promuove a suo carico un procedimento disciplinare in maniera immotivata
Rifiuto o omissione di atti di ufficio (Art.328 c.p. – reclusione da sei mesi a due anni) . La norma tende a tutelare il regolare svolgimento dell’azione della P.A. ed a punire il dipendente che, con scarso scrupolo, rifiuta senza giustificazione di adempiere ad un atto del suo ufficio, atto che andava eseguito con tempestività per garantire esigenze di giustizia, di sicurezza, ordine pubblico, igiene e sanità.
Es. L’ufficiale di P.G. che, incaricato di svolgere un’indagine dall’A.G., si rifiuti di adempiervi rallentando l’attività investigativa e provocando ripercussioni dannose per l’inchiesta penale. L’addetto alla Sala Operativa che, ricevuta la segnalazione di allarme, si rifiuti di inviare una pattuglia sul posto. Il vigile sanitario che omette di segnalare all’A.G. le risultanze negative di una verifica igienico sanitaria fatta in una pasticceria.
Di particolare interesse, per il cittadino, è la seconda parte dell’articolo che prevede:
“il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse, non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino ad euro 1.032. Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa”
Si punisce così l’inerzia del funzionario responsabile del procedimento che, pur invitato da chi vi abbia interesse ad emanare l’atto, omette di adempiervi entro 30 giorni, senza fornire giustificazioni sul ritardo. Il termine dei 30 giorni va subordinato agli altri termini previsti dalla L.241/1990 (trasparenza e diritto di accesso agli atti amministrativi) e dai regolamenti delle singole amministrazioni. Nel silenzio della legge, i termini sono quelli di 30 giorni previsti dal presente articolo. Secondo alcune sentenze, si ha ritardo sanzionabile anche quando il funzionario  fornisce risposte volutamente pretestuose ed interlocutorie.
Malversazione ai danni dello Stato (Art.316 bis c.p. – reclusione da sei mesi a quattro anni). E’ l’ipotesi tipica di privati che ottengono dallo Stato o da un Ente o dalla Comunità Europea contributi e finanziamenti per realizzare opere di pubblico interesse e invece li dirottano per altri usi o li utilizzano solo in parte appropriandosi della differenza.
Diversamente dalla truffa ai danni dello Stato, in questo caso la somma non è stata ottenuta con artifici e raggiri, ma legittimamente, solo che è stata poi utilizzata per fini diversi o distorti.
Concussione (Art. 317 c.p. – reclusione da sei a dodici anni)     Si ha quando con il suo comportamento il pubblico ufficiale  utilizza in maniera illegittima la sua carica  e il suo ruolo, per chiedere a terze persone, che vengono in contatto con lui per motivi di servizio, denaro o altre utilità -   che non gli spettano -  per aderire direttamente, o per interposta persona, alla richiesta fatta dal privato. Il cittadino deve essere indotto a ritenere che se non paga o se non accetta la proposta, non potrà ottenere quanto da lui richiesto (che deve essere comunque un suo diritto). Il reato sussiste anche quando il pubblico dipendente, con tali forme di proposte illegittime, si propone quale intermediario con altri colleghi,  uffici o Enti pubblici.
Es. Chiedere somme di denaro per rilasciare autorizzazioni amministrative, per assegnare o far assegnare appalti, per rilasciare N.O. al pagamento di somme dovute per stati di avanzamento di lavori pubblici, per  far ottenere finanziamenti dallo Stato.
Sussiste il reato anche nel caso del poliziotto che, minacciando di arresto il cittadino che ha commesso un reato, gli chiede denaro o altri beni  per tacitare la cosa.
Corruzione  (Art. 318 c.p.) La corruzione prevede diverse ipotesi e consiste nell’accordo tra il privato ed il pubblico dipendente  che:  a) riceve, per sé o per un terzo un compenso che non gli è dovuto   per adempiere ad un atto del proprio ufficio (reclusione da uno a sei anni); b) riceve tale compenso dopo avervi già adempiuto (reclusione da due a cinque anni); c) ancora peggio, per  emettere un atto contrario ai doveri di ufficio (reclusione da due a cinque anni).
E’ necessario che la “retribuzione” ricevuta sia proporzionata al favore fatto, essendo evidente che non costituisce corruzione la modesta mancia data all’usciere o i modesti regali di cortesia, di trascurabile entità, in uso per le festività natalizie. Per retribuzione deve essere intesa qualsiasi vantaggio materiale o morale, patrimoniale o non patrimoniale, che abbia un valore per il pubblico dipendente, sia che lo abbia ricevuto sia che ne abbia accettato la promessa. La legge punisce il privato corruttore ed il dipendente corrotto allo stesso modo (Art. 321 c.p.).
Es. Il funzionario che accetta denaro o doni di valore per rilasciare un autorizzazione, comunque dovuta. Il poliziotto che accetta denaro per non elevare una contravvenzione commessa dal camionista.
Es. Il commissario di esami in pubblico concorso che, in cambio di denaro o di regali di rilevante valore economico, fa vincere  un candidato non meritevole. Il funzionario che, in cambio di denaro o altra utilità, fa avere la pensione ad un cittadino privo di tutti i requisiti di legge.

Rivelazione ed utilizzazione del segreto d’ufficio (art.326 c.p.)  La legge punisce il  pubblico ufficiale o la persona incaricata di pubblico servizio che rivela notizie di ufficio a persone non autorizzate a conoscerle, che ne facilita la conoscenza a terzi (reclusione da sei mesi a tre anni) che divulga ed utilizza la notizia di ufficio per conseguire un ingiusto profitto (reclusione da due a cinque anni) o per danneggiare altri tramite la divulgazione della notizia (reclusione fino a due anni).
 Notizie di ufficio di cui è proibita la divulgazione sono tutte quelle di cui si è venuti a conoscenza nell’ambiente di lavoro e non assume rilevanza le modalità con cui si sono apprese. Il divieto di divulgazione deriva dallo statuto degli impiegati civili dello Stato, dai contratti, regolamenti, ordini di servizio, circolari, altre norme di legge.
Es. L’impiegato che comunica ad un giornalista, perché lo pubblichi, l’avvio di un procedimento disciplinare a carico di un collega o l’avvio di un’inchiesta amministrativa a carico del proprio Capo Ufficio. Il cancelliere che rivela  l’avvio di una inchiesta penale a carico di un uomo politico per danneggiarne la credibilità in prossimità delle elezioni. Il funzionario che lascia in evidenza sulla scrivania le informazioni negative su un dipendente, così da agevolarne la lettura alla donna delle pulizie o ad altri impiegati. Il Vice Direttore che rivela  in pubblico fatti ed atti di cui è venuto a conoscenza anche per sminuire l’autorevolezza del proprio Direttore, di cui ambisce prendere il posto.

Interesse privato in atti di ufficio:  Articolo abrogato dalla Legge 26.4.1990 n. 86.