sabato 13 maggio 2017

FACEBOOK : PERCHE’ HO DECISO DI CHIUDERE IL MIO ACCOUNT


Erano mesi che aprire la bacheca FB mi creava un malessere da sovraccarico di informazioni. Abbiamo nella lista di amici centinaia di nomi perché “così rimaniamo in contatto” ma in realtà abbiamo poco o niente in comune, però fa brutto eliminare. Con molti ricordiamo di essere stati amici ma non ci si fa sentire mai ma proprio mai, e noi ancora meno con loro. Finivo sempre per vedere le stesse cose, lo stesso tipo di argomenti, ogni volta che aprivo l’applicazione. Per non parlare del fatto che, fra i quasi 500 amici che avevo in lista, continuavo sempre a vedere la stessa cinquantina di persone. Ma dove stavano tutte le altre 450?!

 Tratto da
 

 
Quello che Facebook fa con i nostri dati e che non mi piace per niente

(……omissis….) leggere una dietro l’altra le azioni messe in atto da Facebook, spesso senza che noi utenti ne siamo coscienti. Queste quelle che mi hanno impensierita di più:




1  Facebook usa i nostri like in maniera arbitraria e non autorizzata, per raccomandare prodotti su cui non abbiamo mai cliccato, ma che compariranno comunque nelle bacheche dei nostri amici.

2  Avevo avuto i primi dubbi più di un anno fa: mi ero accorta che molti dei contenuti sponsorizzati che apparivano nella mia bacheca includevano i like di alcuni miei amici. Niente di male, ma la cosa mi puzzava perché si trattava di persone che erano solitamente molto caute nel mettere like nei post altrui. E ancora di mi stupiva che avessero messo un like a multinazionali o prodotti poco diffusi in Italia. C’erano delle incoerenze che mi puzzavano, e avevo iniziato a chiedermi cosa vedessero di me i miei contatti, a mia insaputa. Non c’è modo di controllarlo, ne di sapere quando Facebook decide di usare i nostri like senza permesso.


3  Anche quando non siamo dentro Facebook, i nostri dati di navigazione sul web vengono raccolti e utilizzati da Facebook per migliorare i loro algoritmi e conoscerci meglio. Ogni volta che una pagina contiene un tasto Facebook, le parole chiave della pagina che stiamo leggendo vengono associate a noi e magicamente i contenuti che vedremo nella nostra bacheca Facebook riporteranno si adatteranno a quanto leggiamo quando navighiamo il web. Ve ne siete già accorti, no? Non vi siete mai chiesti come fa Facebook a sapere che volete andare in vacanza in Grecia, o che state pensando a comprare un paio di stivali nuovi? O peggio, come si permette Facebook di consigliarvi la vitrificazione di ovuli, solo perché siete donne sui trenta e casualmente single? Anche in questo caso, non ci sono opzioni della privacy che vi consentano di disabilitare questo tracciamento del vostro comportamento online.
4  Facebook può usare il riconoscimento facciale (lo stesso con cui riconosce gli amici che non sono ancora taggati nelle vostre foto) per raccogliere dati circa il luogo in cui vi trovavate in una certa data. Farlo è un gioco da ragazzi, voi gli date la foto, e lui ci aggrega i dati GPS, data, ora, contenuti nel file immagine.
5  Usando Facebook, facciamo inconsciamente la spia sulle vite degli altri, anche di chi non è su Facebook o ha deciso di esserci con un account fake (es. con nome e cognome modificati, come facevo io). Se ad esempio avete fatto una sincronizzazione dei contatti con Facebook, cioè la funzione “Trova Amici” che vi permette di vedere chi – delle persone che conoscete – ha già un account, avete praticamente dato in pasto al robot tutta la vostra rubrica telefonica/email. Il nostro beniamino social, quindi, ora sa chi sono i vostri contatti, vi dirà chi di loro è già registrato, ma si terrà ben strette le altre informazioni. È così che vengono creati i profili-ombra“, cioè un database con tutti i dati che voi personalmente non avete mai inserito in Facebook, ma che lui conosce comunque, come il vostro numero di telefono o magari il vostro indirizzo di casa. Fa lo stesso anche con i dati dei vostri amici/conoscenti che sono nelle vostre rubriche ma che non hanno mai aperto un profilo Facebook. Esempio vicino, mia madre che riceve un’email da parte di Facebook, senza che nessuno l’abbia invitata a registrarsi: è Facebook che la vuole e la informa che già diverse persone che lei conosce personalmente hanno un account, perché lei ancora no?!

6  Ciò che scrivete su Whatsapp viene archiviato anche da Facebook. Si, ad agosto 2016 WhatsApp ci ha avvisato che voleva usare le informazioni del vostro account WhatsApp per migliorare le pubblicità e la funzionalità dei prodotti del vostro Facebook”. Abbiamo seguito le istruzioni per bloccare questa comunicazione trasversale fra le due applicazioni, e ci siamo tranquillizzati sul fatto che Facebook non pubblicherà le informazioni che diamo tramite WhatsApp. Ok, non le pubblica, ma mica ci ha garantito che non le archivierà. Quindi torniamo al punto precedente, gli algoritmi di Facebook sono contenti anche se non pubblicano: per loro è sufficiente archiviare e fare la gioia di terze parti che poi compreranno quei dati e ci faranno un bel gruzzoletto sopra.

Ma io non ho niente da nascondere, perché dovrei preoccuparmi di dare i miei dati a Facebook?
Questa sembra essere l’obiezione più diffusa che ci auto-ripetiamo quando leggiamo questo tipo di informazioni; l’ho fatto anche io, diverse volte.

Il motivo per cui, secondo me, dovremmo rifiutare di condividere la nostra vita su Facebook, sapendo oltretutto che non si tratta di sola anagrafica ma anche di dettagli privati, immagini, letture e via dicendo, è che perdiamo il controllo dei nostri dati.

Facebook ci conosce meglio di nostra madre, meglio del nostro partner.


Sa dove viviamo, chi sono i nostri amici, quelli attuali ma anche quelli che risalgono ai tempi dell’asilo. Sa cosa mangiamo, dove andiamo in vacanza, sa quando cambiamo lavoro, quando ci tagliamo i capelli. Sa che libro stiamo leggendo, sa se stiamo frequentando un ragazzo nuovo prima che lo sappia il nostro giro di amici più stretto, sa se abbiamo intenzione di sposarci o se stiamo pensando ad avere un figlio. Sa se siamo malati e se siamo solo degli ipocondriaci. Sa se vogliamo dimagrire, sa con buona probabilità cosa voteremo alle prossime elezioni, sa se abbiamo tradito o se siamo stati traditi.

Non so, vi sembra poco?

Io direi che tutti, nessuno escluso, abbiamo qualcosa da nascondere a Facebook: e questo qualcosa si chiama semplicemente privacy.
Senza ricorrere ai massimi sistemi, pensate a quello che fate, immaginate, leggete, nella vostra vita quotidiana e che cercate poi sul web.

Ok, ora pensate a quante di queste cose condividereste tranquillamente con il vostro compagno o con i vostri migliori amici o con la vostra famiglia.

Magari il 70-80%, se vi va bene?

E che dire di quel 20-30% che vorreste tenervi per voi, perché si tratta appunto di pensieri intimi o fantasie o progetti che per il momento non siete pronti a condividere con l’esterno?

Indovinato, Facebook lo sa già, e non si farà scrupoli a venderlo al migliore offerente.

(Conoscete già il caso di scuola della tessera fedeltà del supermercato e dell’adolescente la cui gravidanza viene scoperta dalla famiglia prima che lei avesse modo di confessarlo, no?).
E poi c’è la questione del sovraccarico di informazioni e dello spegnimento del cervello mentre il pollice scorre sull’homepage
A tutta questa filippica incentrata sulla privacy, aggiungo poi una motivazione sentimentale, di pancia.

Ve lo confesso: erano mesi che aprire la bacheca Facebook mi creava un malessere da sovraccarico di informazioni.

Che fossero la guerra e le vittime in Siria, i gattini che rotolano su un pavimento in parquet, le foto di viaggi, di colazioni, le discussioni politiche, le riflessioni profonde e le frivolezze.

Era tutto lì, a portata di pollice e di curiosità morbosa.

Diverse volte durante la giornata, sentivo il bisogno di entrare su Facebook.

Avevo bisogno di staccare il cervello e scorrere l’homepage senza un motivo preciso, solo per il gusto di farlo.

Eppure la mia vita può continuare tranquillamente anche senza sapere che la mia ex compagna di liceo che non vedo da circa quindici anni, ha un nuovo compagno; o che amici di amici sono andati in viaggio di nozze in Papua Nuova Guinea; o che un tizio con cui non parlo da secoli ha tendenze razziste.

La maggior parte delle cose che leggevo sulla mia homepage Facebook aveva un impatto quasi nullo nella mia vita.

Però era un placebo per i momenti di noia. Era anche un placebo per quelle relazioni che si stirano stancamente da un anno all’altro senza reale interesse: avete presente, immagino.

Gente che è nella lista dei vostri amici Facebook perché “così rimaniamo in contatto” ma con cui avete poco o niente in comune, però fa brutto eliminare.

Gente con cui ricordate di essere stati amici ma che non si fa sentire mai ma proprio mai, e voi ancora meno con loro.

Gente. Parole. Rumore di fondo.

Per anni ho cercato di educare Facebook, chiedendogli di nascondere gli aggiornamenti sulle persone che non mi interessano veramente, o i cui pensieri mi offendono.
Ho sempre rifuggito il pensiero che valga la pena usare Facebook per rimanere in contatto solo con chi la pensa come me. Per me sarebbe equivalso a chiudermi in una bolla di pensiero: la stessa che, per esempio, pare aver fregato quella gran parte di statunitensi che credeva che Trump non avrebbe mai vinto le elezioni (a questo proposito, consiglio l’articolo: How We Broke Democracy, [Come abbiamo rotto la democrazia, ndr]).

Eppure Facebook non sembrava collaborativo: finivo sempre per vedere le stesse cose, lo stesso tipo di argomenti, ogni volta che aprivo l’applicazione. Per non parlare del fatto che, fra i quasi 500 amici che avevo in lista, continuavo sempre a vedere la stessa cinquantina di persone.

Ma dove stavano tutte le altre 450?!

Anche questo è uno dei trucchetti di Facebook che vale la pena tenere a mente, ma di cui non voglio parlare qui (questo post sta diventando già troppo lungo).

È così che Facebook ha iniziato ad annoiarmi, e a darmi questa sensazione di bolla informativa (sì, la stessa che avevo voluto evitare) e malessere. Allo stesso tempo, una parte recondita del mio cervello aveva bisogno della dose di Facebook ogni tot ore, una specie di iniezione di endorfine.

Una dipendenza che non mi piaceva per niente.

Inizialmente ho disattivato Facebook dal cellulare, per evitare l’effetto-automa con il pollice che scorre sullo schermo alla ricerca di qualcosa che valga la pena leggere.

Questo mi ha permesso di non aprire Facebook come prima attività della giornata (ancora prima di alzarmi dal letto), e pian piano mi sono accorta che l’impulso ad aprire la mia bacheca durante il giorno si attenuava.

Fino ad arrivare al viaggio in bus di cui sopra, e alla consapevolezza che ero pronta a lasciare definitivamente il mio mondo Facebook.

[Ammetto che ha avuto una certa influenza anche una puntata di Black Mirror, intitolata Nosedive e che vi consiglio di vedere. Guardatela, pensate a come usiamo i social media ora e quanto siamo lontani-eppure-così-vicini alla storia di Nosedive.]
E poi ho eliminato anche la pagina Facebook di Trent’Anni e Qualcosa
Avendo deciso di annullare i miei due account (quello di Giulia Calli, che è lo pseudonimo che uso per il blog, e il mio account “vero”), ho dovuto propendere anche per chiudere la pagina Facebook del blog.

In realtà, anche qui c’è stata una motivazione di pancia. Avrei potuto mantenere un account finto, senza amici, solo per mantenere in piedi la pagina.

Ma il punto è che anche la pagina Facebook di Trent’Anni e Qualcosa iniziava a crearmi malessere: assomigliava sempre più a un’alternativa al blog, un sostituto più immediato in cui scrivere.

Molto più facile pubblicare una foto sulla pagina Facebook con un commento, che non prendermi un’ora per scriverci un post qui su WordPress.

Molto più gratificante vedere i like aumentare sotto a un post Facebook, che fioccano più numerosi dei commenti a un post qui sul blog.

Semplicemente perché non solo per me, ma per tutti, usare il pollice per mettere un like da smartphone è molto più rapido che entrare in una pagina web, leggere un contenuto lungo e decidere di interagire.

Mi sono quindi resa conto che scrivevo per due pubblici diversi, quello più reattivo di Facebook e quello più riflessivo qui sul blog. Un doppio dispendio di energie che non mi piaceva più.
Chiudere la pagina Facebook del blog mi penalizzerà nella diffusione del mio contenuto?
Probabilmente sì. Niente come Facebook aiuta a diffondere i propri contenuti online.

Il vantaggio, però, è che non devo più preoccuparmi anche della pagina Facebook, e posso dedicarmi solo ed esclusivamente al blog.

Chi arriverà qui e deciderà di fermarsi, lo farà perché veramente interessato a quello che scrivo, e non perché ho scelto un’immagine accattivante per catturare l’attenzione del pollice-automa che scorre una bacheca Facebook.

Naïf? Forse. Ma se uno dei miei obiettivi è quello di recuperare più tempo libero per me stessa e per le cose che mi fanno stare bene, liberarmi anche dei fardelli social è quasi un obbligo.

C’è solo stata un piccolo compromesso da mantenere.

Per motivi lavorativi che eludono da questo blog, non avere uno straccio di account Facebook non è possibile.

Ne ho dovuto aprire un altro, completamente falso e con un’email nuova di zecca (non Gmail).
Un nome inventato, una data di nascita falsa, nessuna foto, solo pochi contatti che mi servono per continuare delle collaborazioni che non voglio tagliare.

Praticamente sono diventata un troll.

Però ci tengo fuori la mia vita reale, non accedo dal cellulare, e mi disconnetto ogni volta che ho finito di lavorarci sopra.

Lo so, non è sufficiente per combattere la spia di Facebook, la fuga di dati personali non è evitabile, ma almeno ne ho maggiore controllo.

E ora tocca a voi! Qual è la vostra relazione con Facebook? Avete mai pensato di chiudere il vostro account storico? Oppure non lo fareste mai, a prescindere da tutto?