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di giorno in giorno il crescere lento e faticoso di un albero davanti alla
finestra della cella è un modo diverso per provare a spiegare quanto può essere
lunga una pena. L’alberello, assieme alle erbacce, è uno dei pochi esseri
vegetali viventi che danno uno scorcio di natura in un ambiente fatto solo di
ferro e cemento e offre uno spunto di riflessione sul passare monotono degli
anni. Il racconto è una pagina significativa scritta sul carcere, proposta da
Ornella Favero, Direttrice di “Ristretti Orizzonti”, il giornale dei detenuti
del carcere di Padova.
di Antonio Floris *
La
finestra della mia cella, nella quale vivo da oltre tre anni, si affaccia su un
campetto incolto in mezzo al quale si innalza, solitario tra le erbacce, un
alberello di pero selvatico. Ormai sono tre primavere che lo osservo e mi sono
accorto che ogni primavera questo albero allunga la sua cima di circa 30
centimetri. In pratica da quando lo sto osservando è cresciuto di quasi un
metro. Parlando di quest’albero con un altro detenuto, sono venuto casualmente
a sapere che era stato lui a piantarlo nel lontano 1995, ovvero 16 anni fa.
Nel
1995 si era voluto abbellire il nuovo carcere Due Palazzi (nuovo perché era in
funzione solo da qualche anno) piantando in quegli spazi, non occupati da
edifici, degli alberelli. Erano stati creati dei fossi, comprate delle piantine
e messe a dimora in questi fossi. Dopo di che le piantine sono state
abbandonate al loro destino, senza che nessuno si sia occupato mai né di
potarle né di dare qualche colpo di zappa. In questo modo sono andate avanti
nell’abbandono, più o meno come succede di questi tempi per i detenuti, solo
che a differenza dei detenuti che vivono nella miseria e nella penuria di tutti
i generi, gli alberi possono contare sulla generosità del cielo e sulla
fertilità della terra, che è sicuramente una delle più pingui d’Italia.
Antonio Floris |
Oltre
al fatto che quest’alberello, assieme alle erbacce, è uno dei pochi esseri
vegetali viventi che danno uno scorcio di natura in un ambiente fatto solo di
ferro e cemento, esso dà uno spunto di riflessione sul passare monotono degli
anni. Quando era stata messa a dimora la piantina era alta circa un metro. Ora
ha un’altezza più o meno di 5 metri e per diventare così ci ha messo 16 anni.
Qui
in carcere, durante gli incontri con gli studenti, di frequente si fanno
discussioni sulla lunghezza delle pene e spesso succede che qualche studente,
sentendo dire che tizio, accusato di omicidio, è stato condannato ad
"appena" 15 o 20 anni, se ne esce dicendo che 15 anni o anche 20 sono
pochi.
Per
uno che guarda da fuori 15 o 20 anni potrebbero forse sembrare pochi, ma così
pochi non sono per chi li deve effettivamente trascorrere dietro le sbarre.
Allora per spiegare che non sono affatto pochi (soprattutto se trascorsi
nell’ozio e nelle attuali condizioni di sovraffollamento) ognuno di noi cerca
un paragone appropriato per dare un’idea di quanto lunghi possano essere. Chi
si ingegna a cercare un paragone e chi un altro, ma fra tanti che se ne possono
trovare questo dell’albero chiarisce il concetto in modo assai realistico.
Se
qualcuno pensa che 16 anni sono pochi provi a immaginare che un bel giorno si
metta a piantare un alberello davanti alla finestra di casa sua, poi che in
quello stesso giorno cada vittima di qualche incantesimo o sortilegio a causa
del quale deve stare chiuso in una casa senza poter uscire mai, fino a che
l’albero, senza essere né concimato né curato da nessuno, arrivi all’altezza di
5 metri.
Per
chi non avesse fatto mai quest’esperienza, possiamo assicurare che è molto
fastidioso e irritante vedere con che estrema lentezza l’albero cresce. Fa
quella breve esplosione di crescita di appena 30 centimetri in primavera, poi
durante l’estate, l’autunno e peggio ancora l’inverno, non aumenta di un
millimetro. E la cosa più fastidiosa ancora è stare a fissare l’albero per anni
e anni facendo di questa abitudine l’occupazione principale, senza potersi dedicare
ad altro che non sia guardare la televisione o leggere oppure scrivere, senza
veder mai i frutti del proprio lavoro e senza concludere niente di valoroso né
per se stesso né per gli altri.
Lo
stare a guardare l’albero che cresce e sapere che quando raggiungerà una certa
altezza uno avrà finito la pena, per quanto lunga essa possa essere, è comunque
fonte di speranza.
Non tutti i detenuti però possono coltivare questa speranza,
in quanto per tanti di loro il fine pena non esiste. Fortunatamente io non sono
di questi ultimi. Io so per quanto tempo ancora devo stare a guardare l’albero
che cresce e già ho calcolato che altezza avrà raggiunto il giorno che lo dovrò
salutare. Dietro l’albero c’è il muro della palestra e guardando dalla mia
finestra, la cima dell’albero è più bassa di un metro del muro. Per poter
uscire dovrò aspettare che sia più alta del muro di almeno due metri.
Quest’inverno chiederò se me lo fanno potare, perché sfoltendolo dei rami
inutili forse crescerà più in fretta.
* Antonio
Floris, trovato ucciso a Padova, era detenuto nel carcere di quella città
per scontare una pena di sedici anni per due tentati omicidi. Venerdì scorso, 6
novembre non era rientrato in carcere dopo il pomeriggio trascorso al centro
Oasi (Opera Assistenza Scarcerati Italiani) dei padri Mercedari in via Righi,
dove da anni lavorava la terra con altri detenuti ammessi al programma di
reinserimento nella società e dove era molto considerato e benvoluto. Dopo
cena, Floris avrebbe dovuto fare ritorno in carcere, in sella alla sua
bicicletta. Negli anni '90, il 61enne, originario di Desulo, era ritenuto uno
degli "emergenti" della criminalità sarda. L'uomo era già scappato
dal carcere, nel gennaio del 1991, dalla colonia penale all'aperto di Mamone,
dove stava scontando alcune condanne, tra le quali una per rapina in banca. Una
latitanza che ebbe fine cinque anni dopo. Il 10 gennaio 1996 era stato trovato
dalla Criminalpol, che lo intercettava da tempo. In quell'occasione, gli agenti
fecero una scoperta sorprendente: i diari scritti in codice cifrato che l'uomo
teneva nei tascapane, e nei quali aveva registrato le sue attività criminali.