martedì 8 maggio 2012

CARCERI : L'UOMO DEL FIUME

 

Carcere San Vittore - Milano - Foto Dossier Maturo

Aldo Maturo

Primo Dirigente Ministero della Giustizia






Un uomo sta passeggiando lungo la riva di un fiume, quando si accorge che c’è una persona che sta affogando, lottando inutilmente contro le rapide. Improvvisamente si avvede che dall’altra parte della riva un pescatore si è nel frattempo tuffato in acqua nel generoso tentativo di raggiungere il disgraziato che sta affogando: con fatica riesce ad agguantarlo e a trascinarlo a terra, ove gli pratica la respirazione bocca a bocca, salvandolo.
 Ma dopo pochi minuti si ripete una situazione analoga: un altro uomo rischia di soccombere nel fiume e il medesimo pescatore si getta in suo aiuto e ancora una volta riesce nel suo eroico intento.
     Ma in breve di nuovo la situazione si ripete, una due tre volte ancora, fino a quando il pescatore, di fronte ad un altro in pericolo di vita, invece di buttarsi in acqua comincia a correre risalendo la corrente del fiume.
Stupito, lo spettatore lo ferma chiedendogli: ” Ma che stai facendo? Perché non cerchi di salvare quel disgraziato come hai fatto con gli altri?”.
 "Questa volta - risponde il pescatore - voglio andare a vedere chi diavolo getta in acqua questi uomini”.




 La storia di Saul Alinsky rappresenta in maniera plastica la frustrazione di quanti lavorano nel mondo dell’emarginazione rimettendo in discussione, ogni giorno, il proprio lavoro di fronte alle poche vittorie ed alle tante sconfitte. La cosa è ancor più evidente nel carcere, che ogni tanto esce dalle nebbie che lo circondano per finire sotto i riflettori.

Casa Circondariale Pesaro
Casa Reclusione Volterra - Il Maschio
Lo vediamo in questi giorni con gli spazi sulla stampa occupati dal problema del sovraffollamento. Dubito che qualche gruppo politico assuma disinvoltamente la paternità di un provvedimento clemenziale, notoriamente sgradito alla maggior parte dell’elettorato poco sensibile ai “rumori” del carcere.

     Di segnali concreti, a chi vive nel carcere di qua o al di là delle sbarre, non ne arrivano molti mentre l’arrivo quotidiano di centinaia e centinaia di arrestati è un dato reale e statistico. Oltre il 50% dei detenuti sono in custodia cautelare, le presenze sono oltre 67.600 (al 31.3.2012) su 45.320 posti letto disponibili, tanto che si è pensato anche di riaprire i penitenziari dismessi delle isole ignorando che non c’è assolutamente possibilità di farlo per mancanza di personale.
     L’esperienza del passato - anche quella dell’ultimo indulto del 2006 - ci ha insegnato che, a legislazione o giurisprudenza immutata, nello spazio di un paio d’anni il problema del sovraffollamento si ripropone nella sua drammaticità. Molti “indultati”, infatti, sono ritornati in carcere, per naturale predisposizione a violare disinvoltamente le leggi alla ricerca di una vita più facile o per scelte condizionate dall’impossibilità di rientrare in una società che apre periodicamente le porte del carcere ma, una volta fuori, chiude disinvoltamente quelle dell’accoglienza e dell’aiuto al reinserimento.
D’altra parte approvare un’amnistia è praticamente impossibile visto che è necessaria una maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera e, con le divisioni esistenti tra i partiti, la cosa sembra allo stato utopistica.
    Il tema carcere per alcuni diventa merce elettorale, anche se dietro la demagogia, dietro le quinte dei convegni e dei dibattiti televisivi, c’è il destino di oltre 67.000 detenuti giornalmente “residenti” cui si aggiungono i drammi di altrettante famiglie. Senza contare che in un anno sono quasi 100.000 i “pendolari” del carcere o quelli che soggiornano per pochi giorni o ore nei penitenziari. Sono solito paragonare le carceri ad una gigantesca pentola a pressione che nessuno può pensare di scoprire all’improvviso dopo aver tenuto per anni il fuoco acceso ed il coperchio chiuso per non sentirne la puzza. 
 
Ne sono convinto anche se è indubbio che vi è una costante ed insanabile contraddizione tra una sacrosanta esigenza di sicurezza che sale dal Paese e la necessità di maggiori investimenti in termini di risorse umane e finanziarie per rendere decorose le nostre strutture penitenziarie.
    Per chi ci lavora è ormai abituale vedere un carcere rattoppato a causa di una disattenzione storica ed invero politicamente trasversale. Da sempre si fanno i conti della serva con un bilancio che a stento e male assicura la gestione del quotidiano. 
    L’emergenza finanziaria che caratterizza il Paese non consente di aspettarsi di più per il carcere. Ma allora non bisogna aspettarsi di più dal carcere, questo mondo oscuro che, come una discarica, periodicamente si pensa di bonificare con soluzioni tampone.  Per le funzioni di questa istituzione va preso in considerazione un “investimento” continuo perché un carcere solo custodiale è un carcere violento e continuerà a restituire cittadini violenti in un processo di reciproca irreversibile autoalimentazione che ne accentua il fallimento. 
   Un carcere a dimensione d’uomo, invece, non è una contraddizione in termini, ma è un luogo in cui la società tenta doverosamente un investimento sull’uomo, sapendo in ogni caso che non è possibile radiografare la mente umana e quindi a volte può esserci un prezzo da pagare.  In tal caso bisognerebbe ricordare, con Don Gelmini, che fa più rumore un albero che cade che cento alberi che crescono.  Questo il dilemma. Basta scegliere, come il pescatore di Alinsky: o si nuota tutti insieme per salvare il maggior numero di quelli che affogherebbero o si va sul ponte a vederli buttar giù.